Da
“Ho sposato un narciso: manuale di sopravvivenza per donne innamorate” di Umberta
Telfener
Narcise non si nasce ma si
diventa: il più delle volte a seguito delle esperienze nella famiglia di
origine. Ma soprattutto, narcise non si muore se si è pronte a mettersi in
discussione e ad approfondire la consapevolezza delle proprie azioni e la
capacità di accogliere gli altri. Man mano che la vita va avanti, riusciamo a
smussare le nostre caratteristiche peggiori. Le persone più intelligenti
imparano cioè a vivere e a relazionarsi con gli altri: farli entrare nel
proprio cuore può essere di vitale importanza per vivere un’esistenza più
serena.
Ci sono alcune operazioni
emotive e cognitive che permettono di diminuire l’autarchia e smussare le
caratteristiche narcistiche. Ve ne propongo alcune.
Amare se stesse e fare cose
che danno soddisfazione
La narcisa a volte si apprezza
fin troppo: sa riconoscere naturalmente gli aspetti per i quali gli altri la
stimano e quelle caratteristiche che le permettono di “ingranare” bene nella
vita. Ha però bisogno di un costante riscontro e spesso non si assume la responsabilità
dei momenti bui, né tantomeno riesce a mettersi in gioco emotivamente. Imparare
ad apprezzarsi sempre e comunque è un allenamento: la narcisa è certa di essere
capace di fare le cose che le vengono facili nei momenti di grandezza, quando
si sente potente ed è stata supportata dagli altri. Ci sono delle situazioni,
però in cui tutto questo sembra scomparire: l’insicurezza e la paura arrivano
striscianti. Proprio in quei momenti è necessario assumersi la responsabilità
dei propri stati d’animo ad analizzare per:
Scoprire che sono momenti
passeggeri;
Scoprire che non abbiamo
bisogno degli altri strumentalmente;
Attingere alla creatività;
Recuperare la necessità di
fare i conti con se stesse e con questo strisciante senso di “non essere”, dal
quale ci siamo sempre difese e che abbiamo allontanato con paura, scatenando l’eccezionalità
coatta;
Prendere in considerazione
come si è formata l’insicurezza nella nostra vita infantile: quali dinamiche
hanno fatto sì che costruissimo un senso di noi stessi grandioso per mettere a
tacere la paura di non valere o di essere abbandonati? Quale abbandono abbiamo
subito in età molto precoce e quali emozioni ci scatena ancora oggi, a distanza
di anni?
Non aver bisogno dell’approvazione
degli altri
La narcisa dipende molto dagli
altri: ne ha infatti bisogno per sentirsi viva e rassicurata. Che male c’è? È bello
avere tanti amici e poter contare su di loro. Ho parlato di amici, però, non di
persone poco significative e intercambiabili, utili solo a confermare e a
rinforzare, usate per recuperare un senso di sé. Non ho parlato quindi di un pubblico,
ma di persone davvero significative con cui costruire un legame che si rinsalda
e si approfondisce nel tempo. Amici a cui voler bene, colleghi con cui
confrontarsi, non solo giudici e spettatori delle nostre performance. Bisogna cercare
quindi incontri con persone con cui si è alla pari, non figure che stanno sullo
sfondo e vengono portate sul palcoscenico solo per le nostre esigenze del
momento. Avere amici vuol dire interloquire con loro, mettersi in gioco e non
utilizzarli come arbitri della nostra “grandezza”.
Aumentare la sincronia tra
testa e cuore
Bisogna imparare a collegare
testa e cuore, non usare solo la razionalità quando stiamo bene e l’emotività
in negativo quando perdiamo. Unire testa e cuore significa vivere più
intensamente il quotidiano, imparare a stare nel “qui ed ora”, senza fuggire nel
futuro o incantucciarsi in un passato “glorioso”. Significa vivere i momenti di
noia, non fuggirne. Vuol dire stare a vedere cosa succede se si cede all’angoscia
anziché scappare con le solite modalità, accettare i momenti di down, e
viverseli, ponendosi anche delle domande: quali sono i contenuti che emergono? Quali
fantasmi si materializzano all’improvviso e che cosa ci stanno comunicando? Quali
ricordi, quali sensazioni, quali fatti ci invadono la mente, quali sapori? Quando
si va a vedere una mostra di quadri, è importante spalancare le proprie
sensazioni oltre ch egli occhi, e quando si va a ballare è fondamentale avere
orecchie ed emozioni disponibili per seguire la musica (anziché immaginarci
come gli altri ci vedono). Allo stesso modo, nel quotidiano, è importante
ricordarci di “accedere alle sensazioni”, di interrogare il cuore, di indagare quali
sensi stiamo utilizzando. Unire testa e cuore stimola l’intuito e, come scrive
Clarissa Pinkola Estés:
“Quando facciamo valere l’intuito,
siamo come una notte stellata: fissiamo il mondo con migliaia di occhi”:
Imparare a stare sole
Non finirò mai di sottolineare
l’importanza di saper bastare a se stesse, che ci rende più autonome e più
sicure. Imparare a stare sole vuol dire poter stare per un po’ di tempo senza
un partner, e stare comunque bene, senza sentirsi monche o diminuite o sperdute
o spaventate. Ma vuol anche dire imparare a gestirsi la vita anziché aspettare
di essere in compagnia per fare determinate cose. Significa diventare le interlocutrici
di se stesse, potersi godere un pomeriggio a cucinare da sole o una passeggiata
in un parco. È importante non dover avere sempre un pubblico per dare valore
alle cose che facciamo. In terapia mi capita spesso di consigliare alle
pazienti di iniziare con questo esercizio: facendo un piccolo viaggio da sole,
prima di una giornata intera, poi di un week-end, e infine di un periodo un po’
più lungo, per imparare ad apprezzare la capacità di sentirsi e di godersi il
contesto e la compagnia di se stesse. Se ci pensiamo un attimo, facciamo già una
serie infinita di cose da sole, ma sempre finalizzate ad altri. Se poi ci
domandano se sappiamo stare sole, la risposta che diamo è “no”: potrebbe essere
“sì”, se solo provassimo a starcene un po’ per conto nostro. (E poi, non avete
idea di quanti begli incontri si possono fare quando si parte da sole).
Affranchiamoci alla schiavitù
di avere un pubblico: non diventiamo come quegli uomini, mi perdonino, che
accettano “Chiunque” pur di non sentirsi soli.
Non voler apparire diverse da
come si è
Ovvero: apprezzarci,
ricordarci le cose belle e brutte che sappiamo fare, i desideri, le ambizioni,
le possibilità. Molte narcise pensano di non essere abbastanza e invece si
dovrebbero rendere conto che sono addirittura troppo. La maggior parte di loro
pensa che il mondo richieda sempre di più: il mondo, in realtà (e soprattutto
gli uomini), la valuta su altri parametri e, d’altro canto, la vita non è una
gara né un concorso a chi è di più. Darsi il permesso di vivere i momenti
negativi significa concedersi le sfumature e le contraddizioni e accettare di
essere variopinti anziché sempre dello stesso colore. Imparare ad accettare la
propria debolezza è un passaggio importantissimo, in primo luogo perché essere
deboli è umano, e in secondo luogo perché, a volte, gli altri apprezzano
proprio la capacità di rendersi vulnerabili, di mostrare le paure, di far emergere
le ferite, di vibrare con i problemi di un altro. Pensiamo che, mostrando le
nostre debolezze, potremmo essere annientate. Questo poteva essere vero quando
eravamo piccole: se avessimo ceduto alle paure in un mono che non ci
proteggeva, forse saremmo rimaste schiacciate. Nell’infanzia, per alcune di
noi, è stato fondamentale imparare a difendersi, ma ora non lo è più: siamo
grandi.
C’è un altro aspetto
importante, che ha a che vedere con la capacità di accettare le proprie
contraddizioni e i propri difetti: significa non voler essere perfette ed
esattamente come l’altro ci desidera, significa più i propri pensieri/desideri
che non adeguarsi a quelli degli altri, pur di non venir approvate.
Se state leggendo questo libro
vuol dire che avete sufficiente consapevolezza e curiosità da essere forti. Crescere
significa abbandonare i fantasmi e imparare una volta per tutte che anche la
debolezza ha la sua vita.
Apprezzare le cose belle che
si hanno/fanno
Desiderare sempre di più,
immaginare che l’erba del vicino sia sempre più verde, che gli altri siano
sempre più bravi/fortunati/capaci/intensi/innamorati/intelligenti/furbi, ecc. dovremmo
invece accorgersi che anche gli altri stanno male, si annoiano, si arrabattano
e devono riempire la vita di contenuti, esattamente come noi.
Iniziamo quindi a informarci,
a organizzare, a contattare altre persone con cui poter fare cose piacevoli, a
crearci degli interessi “solitari” e ad apprezzare la compagnia di noi stesse. Vi
propongo un buon esercizio da fare ogni sera prima di addormentarvi: chiedetevi
quali sono state le cose positive e piacevoli che avete fatto durante il
giorno, e se sono troppo poche, organizzatevi attivamente perché aumentino. Per
“cose positive” intendo cose che erano al di fuori dallo schema del puro
dovere, che implicavano l’attenzione anche verso terzi, che non erano difensive
ma proattive, che descrivevano, come piace dire a me, un “andare verso”. Quando
dico “cose piacevoli”, invece, mi riferisco a cose che ci hanno fatto stare
bene, di cui abbiamo imparato a godere anche se piccole, oppure a situazioni in
ci siamo finalmente rese conto di ciò che accade attorno a noi.
Iniziamo quindi a goderci l’ordinario,
anziché solo lo straordinario: è un consiglio che ogni narcisa dovrebbe
seguire, proprio perché ha paura della routine e si riempie continuamente la
vita di troppe persone e cose.
Guardare nel buco nero in
mezzo al petto
Ci sono poi i conti da fare
con l’abbandono e non con la delusione vissuti come inevitabili, con la
freddezza e con le critiche che si non subite. Da dove proviene la convinzione
che saremo sempre deluse? Cosa è successo nella nostra vita, che tipo di
genitori abbiamo avuto e quali sono state le prime esperienze amorose? Quali erano
i valori condivisi in famiglia? È importante riuscire a individuare i
pregiudizi che organizzano tacitamente la nostra vita, e questa operazione
spesso è possibile solo con l’aiuto di una terza persona. A volte si cresce
inconsapevolmente con l’idea che il mondo sia un luogo di pericoli e che sia
necessario essere sempre sulla difensiva. Oppure ci si convince che si ha
valore solo se qualcun altro ce lo conferma, o ancora che mostrando la nostra
debolezza potremmo essere in pericolo.
Non è semplice riuscire a
rintracciare ed esprimere l’esperienza da cui ci si continua a difendere: a
volte non bastano anni di analisi, altre volte un fatto casuale ci fa rivivere
quella sensazione, permettendoci così di vederla, di toccarla con mano e – se siamo
fortunati – anche comprenderla.
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