venerdì 17 novembre 2017

La violenza sulle donne è una violenza sulla società




Recentemente mi sono imbattuta nella lettura dei dati di alcuni Stati d’Europa relativi alle denunce in caso di violenza perpetrata nei confronti di una donna, e mi fa piacere farvene conoscere alcuni: ad esempio in Danimarca è del 52%; in Finlandia del 47%; in Svezia del 46%; in Italia del 27%; in Austria del 20%; Polonia del 19%.
Il nostro 27% va ad evidenziare che non vi è molta cultura nella denuncia perché manca fiducia verso le istituzioni, che in alcuni casi si è mostrata poco propensa a fare il proprio dovere (mi sto riferendo, in particolare, a quelle denunce rimaste inascoltate e che hanno condotto alla morte di molte donne).
La vittima si sente in colpa e si vergogna e ha paura di essere esclusa dalla famiglia, dagli amici e da quello che si può definire il suo “gruppo” di appartenenza. E poi c’è il coping, ossia quella dissonanza cognitiva, che Erik Erickon aveva così definito:
«come uno stato di mancanza di coerenza tra le opinioni, le credenze, le emozioni e i comportamenti di un individuo: quando si presenta un conflitto tra pensieri, emozioni o comportamento, quelli in conflitto tenderanno a cambiare per minimizzare la contraddizione e il disagio che ne deriva».
 Sottolineo anche quando sia poco propenso lo Stato a finanziare i centri anti-violenza come DiRe ed altri, che non solo accolgono le vittime ma danno quel supporto necessario per aiutarle a superare problemi fisici e psicologici, danni questi legati al trauma subito e che le prende in ostaggio e rende la loro esistenza devastata e priva di fiducia verso il prossimo, per non parlare delle difficoltà relazionali che potrebbero andare a nascere.
Per fortuna nostra, di donne e uomini, e delle persone che lavorano nei centri anti-violenza la letteratura scientifica ha elogiato il loro lavoro perché sanno offrire validi supporti e protezione per le vittime. Si tratta, a tal proposito di strategie e politiche d’intervento diffuse a livello internazionale ed ovviamente possono e devono variare a seconda del caso, della nazionalità, della cultura e se la vittima è una donna, un uomo od un bambino.
 È un impegno costante che richiede studi ed approfondimenti, ma anche molta determinazione.
Molte sono state le ricerche nate per conoscere e far conoscere quali sono gli interventi per salvare la vittima e non farle ripercorrere i medesimi passi; può capitare se non si decide di analizzare il proprio vissuto. Ricadere è più facile di quanto si possa immaginare, anche quando sono convinte di non avere una relazione con un orco.
C’è da sottolineare che non tutte le vittime sono consapevoli di quanto avviene nella propria vita; difatti, solo l’11% delle donne denuncia la violenza, poco meno del 5% si rivolgono ai centri anti-violenza e poi c’è una bella fetta di donne che resta in silenzio, dati allarmanti, ma che stanno salendo, e questo è un bene per l’intera società che deve vivere di esempi sani e forti, oltre che di situazioni il meno pericolose possibile.
E non crediate che sia così semplice denunciare una violenza, accaduta, oggi, ieri, una settimana fa, mesi fa, anni fa, dovete capire che la vittima si sente congelata (sensazione definita freezing in psicologia) e nasce dal terrore, dal sentirsi impotente, bloccata, il tutto nato proprio vivendo con una persona che per anni l’ha portata ad annientarsi e a non esistere nella sua individualità.





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