Recentemente
mi sono imbattuta nella lettura dei dati di alcuni Stati d’Europa relativi alle
denunce in caso di violenza perpetrata nei confronti di una donna, e mi
fa piacere farvene conoscere alcuni: ad esempio in Danimarca è del 52%; in Finlandia
del 47%; in Svezia del 46%; in Italia del
27%; in Austria del 20%; Polonia del 19%.
Il nostro
27% va ad evidenziare che non vi è molta cultura nella denuncia perché manca
fiducia verso le istituzioni, che in alcuni casi si è mostrata poco propensa a
fare il proprio dovere (mi sto riferendo, in particolare, a quelle denunce
rimaste inascoltate e che hanno condotto alla morte di molte donne).
La vittima
si sente in colpa e si vergogna e ha paura di essere esclusa dalla famiglia,
dagli amici e da quello che si può definire il suo “gruppo” di appartenenza. E
poi c’è il coping, ossia quella dissonanza cognitiva, che Erik Erickon aveva
così definito:
«come
uno stato di mancanza di coerenza tra le opinioni, le credenze, le emozioni e i
comportamenti di un individuo: quando si presenta un conflitto tra pensieri,
emozioni o comportamento, quelli in conflitto tenderanno a cambiare per
minimizzare la contraddizione e il disagio che ne deriva».
Sottolineo anche quando sia poco propenso lo Stato
a finanziare i centri anti-violenza come DiRe ed altri, che non solo accolgono
le vittime ma danno quel supporto necessario per aiutarle a superare problemi
fisici e psicologici, danni questi legati al trauma subito e che le prende in
ostaggio e rende la loro esistenza devastata e priva di fiducia verso il
prossimo, per non parlare delle difficoltà relazionali che potrebbero andare a
nascere.
Per fortuna
nostra, di donne e uomini, e delle persone che lavorano nei centri
anti-violenza la letteratura scientifica ha elogiato il loro lavoro perché sanno
offrire validi supporti e protezione per le vittime. Si tratta, a tal proposito
di strategie e politiche d’intervento diffuse a livello internazionale ed
ovviamente possono e devono variare a seconda del caso, della nazionalità,
della cultura e se la vittima è una donna, un uomo od un bambino.
È un impegno costante che richiede studi ed
approfondimenti, ma anche molta determinazione.
Molte sono
state le ricerche nate per conoscere e far conoscere quali sono gli interventi
per salvare la vittima e non farle ripercorrere i medesimi passi; può capitare
se non si decide di analizzare il proprio vissuto. Ricadere è più facile di
quanto si possa immaginare, anche quando sono convinte di non avere una relazione
con un orco.
C’è da
sottolineare che non tutte le vittime sono consapevoli di quanto avviene nella
propria vita; difatti, solo l’11% delle donne denuncia la violenza, poco meno
del 5% si rivolgono ai centri anti-violenza e poi c’è una bella fetta di donne
che resta in silenzio, dati allarmanti, ma che stanno salendo, e questo è un
bene per l’intera società che deve vivere di esempi sani e forti, oltre che di
situazioni il meno pericolose possibile.
E non
crediate che sia così semplice denunciare una violenza, accaduta, oggi, ieri,
una settimana fa, mesi fa, anni fa, dovete capire che la vittima si sente
congelata (sensazione definita freezing in psicologia) e nasce dal terrore, dal
sentirsi impotente, bloccata, il tutto nato proprio vivendo con una persona che
per anni l’ha portata ad annientarsi e a non esistere nella sua individualità.
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